La seguente opera viene da me inserita in questo contesto perché indirettamente riguarda la Storia della Chiesa di Mazara del Vallo
Questo è uno dei più emblematici dipinti di Piero della Francesca e del Rinascimento italiano e venne ritrovato nel 1839 nella sagrestia del Duomo d'Urbino. La datazione della tavola, come della maggior parte delle opere di Piero della Francesca in generale, è un tema molto dibattuto e controverso dagli storici dell'arte, ed oscilla in una arco di quasi trent'anni, dal 1444 1472. La scena mostra la Flagellazione di Cristo. La composizione della scena, divisa in due parti, con tre figure in primo piano a destra, sullo sfondo di una via cittadina all'aperto, e la flagellazione vera e propria che avviene a sinistra, più distante, al di sotto di un edificio classicheggiante. Due colonne in primo piano inquadrano la scena e, soprattutto quella in posizione semicentrale, fanno da spartiacque con il mondo estreno, regolato da una diversa concezione e illuminazione.
Tanti hanno dibattuto sulla interpetrazione del quadro ma a conclusioni più sistematiche e documentate è arrivata Sivia Ronchey (2006) che, sulla base di confronti iconografici e di indagini storiche, ha identificato tutte le otto figure della Flagellazione come una trasposizione del messaggio politico di Giovanni Bessarione (il primo dei tre, con il copricapo), il delegato bizantino che aprì il Concilio di Ferrara e Firenze 1438/39 per la riunificazione delle chiese orientali e occidentali.
Giovanni Bessarione fu nominato dal re Alfonso il Magnanino vescovo di Mazara (1449/58) e il papa confermò la regia elezione. Prese possesso della Diocesi a mezzo di Sancetto di Maurella suo procuratore. Anche se non venne mai a Mazara, fu sempre presente nella Diocesi a mezzo dei suoi vicari generali (Paolo da Romano e Giovanni Burgio). Giovanni Bessarione di origine greca, ebbe una funzione importante nel tentativo di riavvicinare la Chiesa Greca a quella Latina. Nato a Trebisonda nel 1403 (morto a Ravenna nel 1472), fu un abile politico e un fervido sostenitore dell'unione delle chiese (cattolica e ortodossa). Nel 1449 fu nominato cardinale da papa Eugenio IV. Intorno alla sua biblioteca, che lasciò alla repubblica di Venezia nel 1468 e che costituì il primo nucleo della Biblioteca Marciana, riunì una accademia di dotti che fu per anni importante centro di studi teologici, filosofici e filologici. La sua auspicata "concordia filosofica" ebbe vasta eco soprattutto negli ambienti umanistici fiorentini.
Tra le varie opere ricordiamo la sua donazione alla Cattedrale di una preziosa icona votiva rappresentante la Trasfigurazione del Signore sul monte Tabor, su tavola e fondo arabescato in oro: voto di ringraziamento per la vittoria cristiana sotto le mura di Belgrado contro la mezzaluna. Nel '58 il cardinale Bessarione fu trasferito alla sede arcivescovile di Pamplona.
La Trasfigurazione
(trasposizione scultorea dell'icona della trasfigurazione)
Chi entra nella nostra Basilica Cattedrale e volge lo sguardo all'altare maggiore resta immediatamente catturato dalla scena plasticamente poderosa posta nella faccia mediale della conca absidale. La scena è la riproposizione in chiave scultorea di una descrizione evangelica: Gesù dopo aver predetto ai discepoli la sua passione, tre giorni dopo conduce con sé Pietro, Giovanni e Giacomo su un monte, identificato come il monte Tabor, che significa ombelico (ombelico del mondo) e appare il punto giusto per ricevere una rilevazione da Dio, nel punto in cui cielo e terra si toccano in un convergere ombelicale. Lì, si trasfigura davanti a loro: il suo volto divenne risplendente come il sole, le sue vesti candide come la neve e abbaglianti come la luce; mentre ciò accadeva, apparvero agli occhi dei discepoli, Mosè ed Elia che conversavano con Gesù. Opera dei Gaggini. Si pensa iniziata da Antonello, architetto e scultore, fu portata a termine da Antonio (secondogenito di Antonello) e dalla sua bottega.
L'opera venne commissiona dal vescovo Giovanni Omodei (1530-42) nel 1535, che ritennne l'icona opera troppo modesta o troppo arcaica rispetto al contesto architettonico (o perché imparentato coi Gaggini). Antonello muore l'anno dopo pertanto si pensa che egli possa aver messo mano solo alla figura del Cristo trasafigurato. L'opera rimane una testimonianza del valore professionale di questa famiglia di artisti.
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