Era una persona disponibile, non negava un favore a chiunque lo chiedesse. Spesso il misero premio, per quei piccoli servigi, consisteva in un pacchetto di "Alfa" o in un bicchiere di vino che lui gradiva tanto e che era diventata, ormai, una penosa dipendenza. Una volta fui testimone di una vile e vergognosa azione perpetrata da persone "rispettabili". Molto spesso, allorchè Nino s'incamminava per far ritorno a casa, abitando in via Favignana, nel quartiere Transmazzaro, doveva attraversare il vecchio ponte sul Mazzaro e passava davanti allo stabilimento vinicolo della Vedova Bini, in via Luigi Vaccara (di fianco al pastificio Diadema e di fronte al Cavallino Rosso).
Lì trovava puntualmente, nel periodo estivo, davanti al cancello dell'azienda, delle persone sedute che conversavano (spesso giocavano a carte nei tavolini del Cavallino Rosso di Vito Marceca) e vedendo Ninuzzu lo fermavano per burlarsi di lui e per fargli raccontare un fattarello o per farlo cantare (la voce era diventata perennemente rauca, per le tante sigarette che fumava e per il fatto che cantava a squarciagola, in modo inappropriato, e ciò aveva determinato, anche, una laringite cronica), gli mostravano un bicchiere di vino e lui subito intonava un motivetto. In quell'occasione intonò una parodia "Sotto il cielo di Campobello", parafrasando la più nota canzonetta. Io mi trovai a passare (abitavo pochi metri più avanti) e vidi Nino che vomitava maledettamente (allora non ero ancora laureato), mi avvicino, gli pongo una mano davanti alla fronte per sostenerlo, gli tolgo il bicchiere dalla mano, ch'era ancora mezzo pieno, e sentendo un odore acre l'odoro e mi accorgo che si trattava di aceto. Quegli energumeni, per puro divertimento, gli fecero bere quel pericoloso intruglio, lui ormai non riusciva più a distinguere la qualità di quello che ingurgitava. Rimasi turbato da tanta malvagità. Accompagnai Nino a casa e per quella notte il mio sonno non fu quello solito. Ninuzzu era una creatura indifesa, vulnerabile, che subì nella sua non lunga esistenza tante cattiverie, da piccoli e da grandi, da uomini e donne. Capiva perfettamente chi gli voleva bene, chi lo derideva, chi lo disprezzava, chi lo sfruttava, e la sua tristezza era acuita per l'assenza di chi, mostrando una mancanza di carità cristiana, l'aveva abbandonato (i suoi parenti erano benestanti). Per cui quasi sempre, quando era lucido, triste ed amareggiato, cercava di annegare nell'alcool, la sua solitudine. Era anche strabico, e negli ultimi tempi era rimasto senza denti, per cui aveva difficoltà nell'alimantarsi. Quando ti guardava, a causa della sua menomazione, si poneva di fianco per poter fissare con un solo occhio l'interlocutore, assumendo un'aspetto tragi-comico. Io lo considero un martire inconsapevole, bistrattato dalla società di quel tempo, malvagia e crudele. Non l'ho mai dimenticato e sono felice di aver trovato queste foto da pubblicare per non far perdere il ricordo di una creatura mite, indifesa e sfortunata che ha occupato un ruolo sui generis nella nostra comunità. Mi auguro comunque che, lassù, abbia potuto trovare il sereno conforto tra le anime pure come lui!
Elgisa Mattaroccia con i figlioli e Ninuzzu La Fata
... in una scampagnata negli anni cinquanta
Pina Mauro, Nino La Fata
1 commento:
Non ho mai conosciuto questa persona ma in compenso ne ho conosciute altre che hanno ricevuto piu' o meno la stessa sorte e sempre a Mazara. Mi dispiace dirlo da mazarese ma, in questa citta', quando c'e' un povero disgraziato in giro non solo non lo si aiuta ma si cerca di approfittarne, quasi fosse un gioco...
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