20 dicembre 2006

La Mazara Scomparsa

Edrisi, scrittore arabo venuto da noi nel 1138, cui dobbiamo una descrizione della Sicilia durante il regno di Ruggiero II, dice della nostra città: Mazara, città splendida, superba e veramente insuperabile per posizione e il prestigio di cui gode, ha raggiunto il vertice in quanto ad eleganza della sua sistemazione urbanistica. Essa raccoglie in sé tanti pregi quanti nessun'altra: ha mura robuste ed alte, case notevolmente graziose, arterie larghe, molte strade, mercati rigurgitanti di merci e di prodotti vari, bagni sontuosi, vaste botteghe, oltre a orti e giardini con piante pregiate; ad essa convergono viaggiatori da tutte le parti per approvvigionarsi dei suoi abbondanti prodotti. Il suo distretto è considerevole per estensione e comprende prosperi casali e masserie. Lungo le sue mura scorre il Mazzaro sul quale sostano le navi per fare il carico e svernano le barche.  
Questa sfortunata città, ormai da tempo, assiste attonita al degrado continuo e all'ingravescente rovina dei suoi Beni Culturali ed Ambientali. Nessuno se ne preoccupa. Le Istituzioni deputate alla gestione ed al controllo sono latitanti. Le Associazioni Culturali sono impotenti di fronte all'indifferenza dei vari amministratori pro tempore e qualunque grido di dolore si perde nel vuoto.
Occorre che le varie realtà produttive (in special modo la pesca) vengano rigenerate in compatibilità con le dinamiche economiche attuali e con le possibilità offerte da un ammodernamento tecnico e organizzativo delle strutture industriali e commerciali della città. Bisogna cioè pensare il passato e il presente con l'occhio sempre rivolto al futuro. 

Desidero sollecitare la vostra memoria proponendovi alcune immagini significative di questo fenomeno progressivo e forse inarrestabile.
I frati minori dell'Osservanza in Santa Maria di Gesù
Una veduta settecentesca (Da Zaccagni-Orlandini, Corografia, Firenze 1845/48). L'originale misura cm.19x28,5 ed è a corredo illustrativo dell'interessantissimo volume "Voyage pittoresque on descrption des Royammes de Naples" 1777-1784 

Voglio iniziare con questa stampa che dimostra come, da sempre, il patrimonio dei Beni Ambientali non è stato mai, come dovrebbe, un interesse primario per i governanti mazaresi, il cui precario corredo genetico li conduce a privilegiare il degrado e l'abbandono. La stampa del sec. XVIII mostra, a sinistra, il Convento di Santa Maria di Gesù, fondato nel 1455 dal cav. Enrico De Iuncta capitano e governatore della città ed affidato ai frati Minori Osservanti di San Francesco. Nella parte centrale domina la chiesa di San Francesco che, in antico, aveva due magnifici campanili. Questa documentazione mostra che il degrado è sempre esistito, che non è stato mai gestito saggiamente e che se un bene comune andava in rovina, anche allora, lo si lasciava al suo triste destino. Ai giorni nostri il campanile è rimasto solo, orfano del gemello. Il recente restauro di consolidamento (per i danni causati dal terremoto) è stato fatto in modo vergognoso. Non voglio addentrami nel commento del restauro dell'interno della chiesa perché occorrerebbe un blog a parte per definire lo scempio compiuto dai tecnici che l'hanno effettuato. 


La Platea Magna
(Vue d'une place publique et de la Cathedrale de la ville de MAZZARA. n. 74 Sicilie), Piano Maggiore, poi piazza Municipio, oggi piazza della Repubblica. Stampa tratta dal volume Voyage pittoresche di Richard di Saint- Non. (Viaggio nel Regno delle due Sicilie). Autore della stampa (acquaforte) fu il disegnatore e architetto francese Jean Louis Depreé (1743-1804)

E' la testimonianza della grande trasformazione urbanistica avvenuta tra il XVII e il XVIII sec. favorita dal mecenatismo di alcuni vescovi. Il primo intervento importante è quello della sistemazione della Cattedrale Normanna (essa dalla sua fondazione fino ai giorni nostri ha subito diversi restauri che ne hanno alterato la forma primitiva, i più importanti furono quelli ad opera del vescovo Montaperto del 1470 e quello di mons. La Cava del 1615. Nel 1659 ad opera di mons. G. Lozano, venne realizzato il nuovo campanile.)

Sul lato sinistro della stampa il sontuoso palazzo dei Chiaromonte, potente famiglia che fu padrona della città verso la fine del XIV sec. venne eretto da Federico Chiaromonte. Da esso deriva l'attuale Palazzo Vescovile che nasce dalla ristrutturazione dell'edificio nel XVI sec., contemporaneamente venne realizzato l'Arco (tocco) di mons. Impellizzeri (1654) che unisce l'episcopio alla Cattedrale, la via dell'Arco (il tocchetto), e la viuzza che fa comunicare la platea con l'odierna piazza Alberto Rizzo Marino. A destra il Seminario dei Chierici. Venne costruito in, successione temporale, da vari vescovi. Il primo seminario fu ubicato il 20/07/1579, nella chiesa di Sant'Egidio. Poi seguendo i dettami del Concilio di Trento (1545 - 1567, cioè che i seminari dovevano erigersi nei pressi delle cattedrali) nel 1583 mons. Bernardo Gasco lo trasferisce nel monastero di Santa Chiara (tra il palazzo vescovile e il convento di Santa Caterina). I suoi successori continuarono l'opera. La sede definitiva viene realizzata dal vescovo B. Castelli nel 1710. L'attuale aspetto si deve all'opera dell'architetto Giovanni Biagio Amico, su incarico del vescovo Giuseppe Stella (1742 - 1758). Sempre a destra della stampa s'innalza la Torre dell'Orologio, oggi accorpata al Seminario, (da essa deriva il toponimo della viuzza adiacente dové'è ubicato, attualmente, l'ingresso del Museo Diocesano). Di essa oggi rimane soltanto la parte bassa.

Nel 1771, al posto di un antico campanile della Cattedrale, derivato da un preesistente minareto, verrà collocata la prestigiosa statua del santo patrono San Vito, opera dell'illustre scultore palermitano Ignazio Marabitti (era stata commissionata nel 1766 da mons. Michele Sclavo assieme ai relativi: piedistallo, scalinata e cancellata di ferro attorno). Questo piano viene completato, mediante la realizzazione dell'odierna via XX Settembre, lungo la quale cominciano a sorgere alcuni palazzi patrizi.

Sotto il porticato del seminario, alla fine di esso, adiacente alla torre, vi è una piccola cappella con una immagine della SS. Vergine, portante in braccio il bambino Gesù, chiamata Madonna delle Campane (il 5 maggio 1587, precipitò, come già accennato, il campanile che era collocato dove oggi vi è la statua di San Vito, mons. Bernardo Gasco restaurò il campanile, vi collocò il gruppo del Conte Ruggero, oggi posto sulla facciata principale della Cattedrale, e nella parte bassa di esso fece realizzare una cappella, dove collocò l'immagine della Madonna delle Campane, poi spostata e sitemata nella sua sede attuale).

Alla fine del XVII sec. il Piano Maggiore viene messo in comunicazione con la marina mediante l'apertura della porta del SS.mo Salvatore, dirimpetto alla Cattedrale, iniziata da mons. Francesco Maria Graffeo e terminata da suo nipote rev. Ascenzio Graffeo nel 1696 e demolita nel 1873.



1891/94 - La rivolta in Sicilia


Stampa antica con veduta di Mazzara del Vallo, con la popolazione insorta che distrugge gli uffici della Prefettura, pubblicata dalla rivista periodica "Illustrazione Popolare", edita a Milano dai fratelli Treves. E' un episodio delle rivolte popolari, guidate dai Fasci siciliani dei lavoratori dei deputati socialisti siciliani Napoleone Colajanni e Giuseppe De Felice Giuffrida che per diversi mesi, a partire dalla fine del 1893, videro insorgere le popolazioni affamate di numerose località della Sicilia.
fasci siciliani, detti anche Fasci siciliani dei lavoratori, furono un movimento di massa di ispirazione libertaria, democratica e socialista spontaneista sviluppatosi in Sicilia dal 1891 al 1894 e diffusosi fra proletariato urbano, braccianti agricoli, minatori ed operai. Fu disperso solo dopo un duro intervento militare durante il governo Crispi, avallato dal re Umberto I. 






Dalla piazza Plebiscito





Il 1 e 2 gennaio 1894, nella nostra città non si verificarono né pericolose audacie né prove d'eroismo. L'unica cosa che il popolo di seppe fare fu l'assaltare la Pretura, allora ubicata nei locali dell'attuale Centro Polivalente ex Convento dei Gesuiti, dove venne distrutto, oltre ai mobili, quadri, suppellettili, un enorme patrimonio cartaceo in quanto era ivi allocata anche la fornitissima e ricca biblioteca dei Gesuiti (espulsi nel 1767). Non ci siamo distinti per atti d'eroismo ma per la solita ed insensata modestia di comportamenti. L'articolo racconta che il primo gennaio 1894 a Mazara bruciarono gli uffici del demanio, del registro, delle imposte, del conciliatore, la prefettura, le scuole tecniche e elementari, il salone della biblioteca con migliaia di volumi, e tutti i magazzini e depositi del comune. Le fiamme divorarono case e chiese attigue a questi uffici e scuole. Fu assaltata la prigione, e liberati i prigionieri. Il giorno 2 a Mazara bruciarono catasto, esattoria comunale, e tornarono a bruciare le carte dell'ufficio del registro, e tentarono un nuovo assalto alla prigione, dopodiché bruciarono comune e fabbricati attigui. Il giorno 3 Francesco Crispi dichiarò lo stato di assedio in Sicilia. Leggendo l'articolo pare di capire che sostenga che a Mazara il problema venne determinato dal fatto che, dopo che il municipio annunziò l'abolizione dei dazi sulle farine (immagino una qualche forma di accise), i grossisti decisero di non passare ai consumatori lo sconto, ma di tenerselo per se.


Anche nella vicina Castelvetrano si ebbero tumulti simili


Giornali dell'epoca che documentano i fatti accaduti








1894 (fratelli Treves editori MI)

La parte superiore della stampa mostra una veduta di Mazzara e un campiere a cavallo, la parte inferiore si riferisce alla piazza del Municipio di Castelvetrano

L'arco normanno


1969 - Dipinto del pittore Giardina 


L'Arco normanno di Mazara del Vallo, era la porta di accesso a forma di arco ogivale del castello fatto costruire da Ruggero I d'Altavilla, dopo la liberazione nel 1072 della città dalla dominazione araba. Venne demolito nel 1898 per la costruzione di un giardino pubblico, l'attuale villa Jolanda. Il materiale di risulta venne utilizzato per la i lavori portuali e per la realizzazione della passeggiata a mare. Nel 1920 il Consiglio comunale deliberò che l'ultima testimonianza del Castello venisse lasciata a futura memoria. L'Arco normanno domina l'antistante piazza Mokarta (così chiamata in onore del guerriero musulmano Mokarta, nipote del re di Tunisi che nel 1075 tentò la riconquista della città) ed è considerato il simbolo più significativo di Mazara. Nel castello soggiornarono oltre al Gran Conte Ruggero, anche Federico III di Aragona e la regina Eleonora d'Angiò nel 1318, nonché Pietro II di Sicilia, il re Martino I di Sicilia e per ultimo il re Alfonso II di Napoli nel 1495. Nel XVI secolo le sale e i sotterranei del castello vennero adibite a carcere e per tale motivo, i mazaresi dell'epoca, sconsiderati, non ci pensarono due volte ad abbatterlo dato che evocava loro brutti ricordi. Oggi (nel terzo millennio, nel 2014) si pensa di ricostruirlo, lo sostiene la dott.ssa Grazia Alfaggio, dirigente generale del Dipartimento Nazionale per il Recupero Beni Monumentali. Sembra ormai, infatti, in dirittura d'arrivo il progetto che prevede la ricostruzione del castello che per tanto tempo ha difeso la nostra città e di cui resta ormai solo l'arco. "Gli scavi effettuati negli anni ottanta ci hanno permesso di ricostruire, con assoluta precisione, l'andamento delle mura - afferma la dott.ssa Alfaggio - l'unica cosa che dobbiamo ancora perfezionare è il piano di recupero di alcune pietre che facevano parte del complesso. Sembra infatti che queste siano state utilizzate negli anni per sistemare parte del molo del porto canale. Una volta trovate dovranno essere catalogate e rimesse al loro posto, come un gigantesco puzzle".


Un dipinto raffigurante il castello


Planimetria presente nel vecchio catasto di Trapani, utilizzata in un lavoro per la tesi dell'arch. Vicio De Pasquale, pubblicato dalla rivista "Trapani" Rassegna mensile della provincia (Anno dodicesimo - VIII-IX, agosto - settembre 1967)

Planimetria della Mazara Normanna
Vicio De Pasquale

Planimetria della città




Viale Garibaldi
in seguito venne trasformato in "Villa Garibaldi"

1937 - Pina Linares, Pasquale Villani
In questa foto si nota la recinzione della Villa Jolanda e la presenza delle decorative "quartare"
(divenute ai nostri giorni motivo di polemica per l'eccessivo uso di ceramiche, come arredo urbano, ad opera dell'amministrazione Cristaldi


La carrozza ritratta è quella che il vescovo Salomone fece costruire nel XIX secolo. Nel 1937, in occasione delle grandi manovre il Re Vittorio Emanuele III venne nella nostra città, accompagnato dal figlio, principe Umberto. Furono solennemente accolti nella Basilica Cattedrale dal vescovo Salvatore Ballo, dal Capitolo e dal Presbiterio Diocesano e vennero prelevati con questa carrozza.

Anni cinquanta

Quando la città era a misura d'uomo

1964 - Cortile comune


1985 - Cortle medievale


Le pile del cortile
Ricordate le pile (vedi foto), quei bellissimi manufatti in pietra, nelle quali generazioni di abitanti del quartiere (che prendeva il nome da loro) Pilazza, hanno sciacquato i panni? Sono scomparse. Volatilizzate senza che nessuno se ne sia mai preoccupato. Erano il simbolo di quei luoghi, una meta obbligata dei turisti che visitavano quello che resta della casbah. La loro origine era controversa, alcuni sostenevano che fossero antichissime. Certamente erano un bene ambientale importante dal punto di vista storico che ci è stato tolto. E' rimasto a dimostrare la mutilazione, il pozzo, dal quale si attinge l'acqua, coperto perennemente da una rete per evitare che i bambini vi possano cadere. Non ho mai capito perchè mai nessuno ha imposto la realizzazione di una sicura copertura dello stesso.


Anche la pila di un'altra piazzetta del quartiere, certamente meno importante delle precedenti ma altrettanto significativa per la storia delle tradizioni popolari è stata divelta.


Curtigghiazzu

Vicolo Aragonesi (traversa via Goti) - La signora Nina (sposata Marino)
Quando l'acqua era un bene comune

Il ponte sul fiume Arena
Questo ponte non è stato rubato, forse perchè sarebbe stato difficoltoso e poco redditizio farlo, ma è scomparso anche lui. E' stato sostituito da una struttura del Genio Militare, che doveva essere utilizzata per pochi mesi, invece vi rimase per parecchi anni. Infine oggi la Provincia ha realizzato da una struttura moderna e più imponente. Il vecchio ponte ci ha servito generosamente per tanti anni era giusto ricordarlo e conservarlo tra le nostre memorie. Non era bello, non era molto funzionale ma ci è stato utile.
Porto Canale
Rientro dalla pesca alle sarde - Nei primi del 1900


Stabilimento balneare - Anni Venti
Li "cammareddi" tutto costruito in legno su palafitte

Chiostro del Collegio dei Gesuiti
La vasca rimossa dell'atrio dell'ex convento dei Gesuiti
(oggi Centro Polivalente di Cultura)

Villa Garibaldi
Dov'è finito il pozzo?

Anni Trenta/Quaranta

La fontana era costituita da una vasca ottagonale in marmo nella quale, gli agricoltori del quartiere, nei primi decenni del 900, portavano a dissetare i loro animali, cavalli, asini e muli. Per evitare questa poco igienica abitudine l’amministrazione comunale del tempo deliberò la costruzione di sei colonne di marmo attorno alla vasca, collegate da tubi di ferro, rendendo così impossibile agli animali l’approccio all’acqua. Negli anni cinquanta la costruzione della fontana fu un'involontaria causa di tragedia, due bambini uno di nome Angelo Merenda, figlio di un noto sarto della città (e nipote di una guardia municipale in pensione Angelo Bendici) vi cadde dentro e vi annegò e un'altro di nome Baldassare Benigno rimase ferito e in seguito ad un'abbondante emorragia morì anch'esso. Intorno agli anni 60 fu smantellata per consentire la costruzione di uffici e sale d’attesa per i viaggiatori degli autobus che facevano sosta in questa piazza, inoltre il sig. Giglio aprì sull'altro lato un distributore di benzina, sino agli anni duemila. In seguito all'annegamento accidentale del bambino, il cui corpo fu recuperato dallo stesso nonno, che per ironia della sorte fu chiamato da una bimba che segnalava la presenza di un bambino in acqua, esattamente nella cisterna sottostante che alimentava la vasca, negli anni 50 (52/53), venne realizzata la sottostante statua, si dice a ricordo di questo triste evento e per onorare il bimbo. L'anno successivo la fontana venne rimossa per far posto ad un orrendo diatributore di benzina e una altrettanto invadente e inutile stazione di servizio per le compagnie del sevizio Autobus di Linea. Non abbiamo una documentazione scritta o fotografica che lo dimostri. tutto è affidato alla buona memoria di alcuni cittadini. (Una curiosità, la macchina della foto è la Citroen del dott. Giammarinaro, medico chirurgo)

Questa composizione in cemento, si dice trovasi in una villetta di un noto professionista a Costiera. 

Sul carro il prof. Giovanni Barbera (Disegno) e il prof. Salvatore Di Liberti (disegno). Il dito puntato con il dito puntato sta ad indicare l'autore, che era uno dei 15 figli di un falegname (14 maschi e una femmina), per cui si appassionò all'arte di lavorare il legno e divenne scultore e poi anche pittore). La casa che si intravede sulla sinistra era di don Vito Bonafede, allevatore di ovini. In seguito vi allocò la sua Farma-Sanitaria il sig. Giocondo Lenzi, in seguito fu ceduta, dagli eredi, per realizzare i locali della Banca del Sud. Forse questa foto immortala il momento di trasporto per la collocazione del gruppo.

Un'altra immagine

Schizzo di Nicolò Burzotta per segnalarci come lui ricorda la fontana


La paparedda
Vi ricordate il commercio dell'uva Zibibbo proveniente da Pantelleria e i mezzi di trasporto usati?

La motrice denominata "Carrello Badoni" poteva trainare al massimo tre vagoni, trasportava l'uva o anche il pesce in vagoni refrigerati, alla "Piccola" (una stazione merci adiacente alla stazione centrale, oggi sede del parcheggio per auto. I vagoni carichi delle varie merci venivano agganciati ai treni diretti in tutto il continente. Un esemplare è ancora conservato nel piazzale interno delle Cantine Florio di Marsala. Andava a gasolio. Veniva erroneamente chiamata "paparedda" perchè cosi era denominata la precedente vettura usata prima, che era alimentata a carbone, ed essa ne raccolse l'eredità anche nel nome (in questo caso improprio). Il percorso seguito su rotaie era dal piazzale G.B. Quinci alla stazione merci "La piccola". I vagoni vuoti venivano parcheggiati nei pressi della "Campagnedda"spazio prima dell'Hopps Hotel, dove da ragazzi ci si giocava come fosse un giardino pubblico sino agli anni sessanta e quei vagoni potrebberro raccontare tante avventure vissute dalla gioventù dell'epoca.



La paparedda era simile a questa che vi mostro a mò d'esempio

19 dicembre 2006

La mazara scomparsa II

Lungomare Anni Quaranta


Ecco come si prentava in quegli anni

Anche in tempi più recenti molte attività vanno scomparendo. E' il caso del piccolo cantiere navale ubicato sotto il ponte del fiume Mazara, di proprietà del maestro d'ascia Antonio Ingargiola, che per tanti anni è stato il riferimento per le piccole imbarcazioni.

Il mitico Ponte di ferro - Se ne intravede solo una parte


Miragliano - Il giardino dell'Emiro


Anfratti naturali adatti a unità abitative



Porta d'ingresso

I mazaresi meno giovani si ricorderanno certamente quando, durante il periodo bellico, molti concittadini si rifugiavano nelle grotte di Miragliano durante i bombardamenti nemici. Nel primo dopoguerra alcune famiglie povere, continuarono ad abitare per un certo periodo in abitazioni scavate nella roccia o adattandosi a piccole caverne esistenti.


Una abitazione

10 dicembre 2006

Chiese

Chiesa del Cristo Re e Convento dei Cappuccini
Nei primi del Novecento


1932 - Cattedrale: una delle tante sparizioni
Questa foto scattata agli inizi del secolo dai fratelli Alinari fotografi di Firenze è una immagine importante e poco conosciuta, essa mostra com'era la morfologia architettonica dell'abside centrale agli inizi del secolo scorso. Se osservate attentamente vedrete nella parte superiore la presenza dell'immagine del Dio Padre con il suo braccio destro proteso verso il basso ed indicante il Figlio trasfigurato sul Tabor, ai suoi lati due Profeti con strumenti e libri tra le mani, nonchè Angeli e nuvole, tra i quali spiccava una colomba simboleggiante lo Spirito Santo. L'opera era stata realizzata da Orazio Ferraro da Giuliana nel XVII sec. Il braccio enorme e sporgente dall'immagine, come corpo a se stante librato nel vuoto, era realizzato in gesso e sicuramente doveva essere molto pesante. Un bel giorno, in seguito all'infiltrazione di acqua piovana dal tetto il braccio si staccò cadendo rovinosamente a terra e trascinandosi dietro parte dell'intonaco e del dipinto. Invece di preoccuparsi di far restaurare il tutto qualche benpensante dell'epoca approfittò per eliminarlo forse perchè il Padreterno che incombeva sul celebrante con quel braccio in atteggiamento di rimprovero, avrà fatto venire gli incubi a qualcuno che, avendo molto da farsi perdonare e impedentogli il sonno, ha approfittato dell'incidente per farlo rimuovere. Infatti il 19/11/1910 iniziarono i restauri e fu deciso assieme ai tecnici della Sovrintendenza che i pesanti stucchi ritenuti di poco pregio fossero rimossi, sostenendo che il gruppo gagginiano della Trasfigurazione venisse snellito nella visione d'insieme e messo in maggiore evidenza togliendo quegli stucchi.



Facciata anni quaranta



Interno con altare, nel periodo pre conciliare


Santa Niculicchia negli anni '30

1931


La chiesa di San Nicolò Regale è un altro esempio di scempio. La sua datazione è un problema ancora aperto, verosimilmente il periodo è da porsi tra il 1154 e il 1166. Tra il seicento e il settecento subì la trasformazione più significativa, aggredita dalla mania dell'epoca di adattare tutto allo stile barocco, fu trasformata, in modo vandalico,\da pianta quadrata ad ottagonale, conservando fortunatamente l'involucro esterno. Tale adattamento ha comportato la manomissione d'imposte, archi, cornici, nicchie, voltine e colonne e all'esterno il trasferimento della porta d'ingresso dal lato opposto a quello originale con la sovrapposizione nell'abside centrale di un portale barocco in pietra. Questa foto mostra il tempietto molto prima del restauro, si nota molto bene l'ingresso che era dal lato triabsidato ed era caretterizzato da un portale barocco recante lo stemma dei reali di Sicilia, essendo la chiesa di regio patronato (sino al 1931 era di proprietà dei Reali di Spagna). Nel 1947, viene riportata alla forma originaria. Nel 1970 e nel 1980 altri interventi di restauro. Credo che delle pietre originali oggi rimanga ben poco. Caratteristiche architettoniche simili hanno la chiesa di San Cataldo a Palermo e della SS. Trinità di Delia a Castelvetrano. La chiesa secondo la tesi più accreditata sarebbe stata dei monaci benedettini e il monastero adiacente fu demolito alla fine dell'Ottocento.



Santa Niculicchia negli anni '50



Chiese e Monasteri
Nei suoi novecento anni di storia la Chiesa mazarese ha avuto tre importanti monasteri femminili e precisamente quello di San Michele, di Santa Veneranda e di Santa Caterina, tutti del medesimo ordine di San Benedetto. Il piu' antico quello di San Michele fu il piu' ricco e accolse le figlie degli aristocratici del tempo, gli altri due piu' recenti accoglievano monache di famiglie borghesi. I rapporti tra i monasteri furono sempre cordiali, le suore furono animate tutte da sinceri sentimenti religiosi, tuttavia la gente notava alcune differenze ed esprimeva così il proprio giudizio:



A San Michele li superbi (le superbe)


A Santa Caterina li baggiani (le fanatiche)

A Santa Venera li accinnirati (le sudice, le povere)

Monastero di San Michele



Sventramento e demolizione di parte del monastero per realizzare
le Scuole Elementari Maschili

Fu demolito nel 1933, per far posto all'attuale edificio scolastico comprensivo (scuola media inferiore, scuole elementari ed asilo). Il monastero oltre alle monache professe accoglieva le novizie, le educande. L'ordinamento interno era così formato: L'Abbadessa, la Priora, le Decane, le Cellerarie, le Maestre delle novizie, la Dispensiera, le Associatrici, le Infermiere, le Sagrestane, le portinaie. Nei nostri monasteri mancava la Soggetta (segretaria), che non avendo una dote perchè di umili origini. però veniva accolta nel convento per le sue qualità intellettuali, per svolgere le mansioni di segretaria della Abbatessa, durava in carica tre anni e poteva essere riconfermata. Inoltre il monastero aveva un protettore (retribuito con 5 onze all'anno), un confessore e un cappellano (venti onze), un detentore di libri (contabile, tre onze), un barbiere ed un garzone (1 ona e sei tarì cadauno). La carica meglio retribuita, 36 onze, era quella del Prefetto di Sagrestia. Nel 1700 per migliorate condizioni economiche si aggiunsero: il compratore (onze sei), il notaro (onze due), il giardiniere (onze due), il maestro d'acqua (tarì sei), l'ostiario (1 onza e 18 tarì), il confessore straordinario (1 onza).


1928 - Chiesa di San Michele
Notare la presenza della cancellata esterna

Dell'antica chiesa e del monastero fatto edificare da Giorgio Antroteta, ammiraglio del conte Ruggero, nel 1093 non si ha più notizia. L'attuale tempio è stato edificato nel 1637, sotto il governo del vescovo cardinale Gian Domenico Spinola e venne consacrata nel 1678 da mons. Giuseppe Cicala. Gli stucchi interni in gesso (venti statue) che decorano la bellissima chiesa risalgono al 1697, ma furono arricchiti d'oro nel 1764 sotto la reggenza della abbadessa donna Maria Benedetta Gerbino. La statua argentea di San Michele Arcangelo, fu fatta a Roma su modello di quella di Michelangelo Buonarroti. La chiesa è stata arricchita anche dai dipinti di Tommaso Sciacca, rinomato pittore mazarese, apprezzato non solo in Italia. Il Tabernacolo è opera di Antonello Gaggini. All'interno vi è custodita la statua, in argento e legno, del patrono San Vito.

Monastero di Santa Caterina
Fondato prima del 1318, come sostiene Rocco Pirro (mancano documenti che possano precisare la data esatta) ad opera della nobil donna Giovanna de Surdis. La famiglia De Surdis visse nella prima mettà del 1300 ed era costituita da Dagullo, militare a servizio del Re, dalla sorella Salvagia, dalla moglie Giovanna e dalla figlia Goffreda. Il monastero in origine doveva essere piccolo, perchè il solo patrimonio della famiglia de Surdis era troppo modesto per poter "gareggiare" con i due preesistenti, che già contavano due secoli di vita. Il primo ampliamento avvenne nel 1392 quando il vecchio monastero di Santa Chiara che gli sorgeva accanto, venne soppresso dal Re Martino (in seguito ai tumulti scoppiati in città ed al tentativo di strappare Mazara dal regio demanio). Una parte del monastero passò a quello di Santa Caterina e l'altra all'Episcopio. Un altro amlpiamento ebbe luogo agli inizi del XVIII sec., quando la struttura monastica potè accorparsi l'ala sinistra dell'episcopio, che sino allora era destinata a sede del seminario. Gli ingrandimenti continuarono perché la Comunità aveva interesse ad isolare sempre più il monastero acquistando case adiacenti sia per avere maggiore spazio, sia per evitare la presenza di persone che potessero turbare, direttamente o indirettamente, la serenità della vita del convento. Fu realizzato, anche, un bel giardino dove le suore potevano alternare i passatempi con i doveri istituzionali e le occupazioni domestiche. Nel 1848 con la confisca degli ori e degli argenti delle Chiese e delle comunità religiose, il monastero (assieme agli altri due) cadde in miseria e continuò un lento ed inesorabile declino che lo portò alla sua scomparsa.

Vista dall'esterno di una parte del monastero

La chiesa di Santa Caterina, accorpata al monastero, edificata sempre da donna Giovanna De Surdis nel 1318, presenta un suggestivo aspetto architettonico. Sino al 1909 aveva un elegante campanile, a guglia piramidale, rivestita di lucide mattonelle di color verde smeraldo, ma dovette essere demolita perchè cadente e pericolosa ( e come al solito nessuno pensava ai restauri). Rimase in piedi solo la torre campanaria quadrata co otto finestre per le campane. Le suore fecero costruire sulla cima della torre una loggetta coperta e con quattro ampie finestre chiuse da grate in ferro battuto, bombate sulla faccia anteriore a collo di cigno, che consentivano la visione del mare e delle sottostanti piazze dove si potevano osservare durante le feste spettacoli sacri e profani.

Altare maggiore

Ad una sola navata, con una volta abbellita da pregevoli affreschi e con un bellissimo pavimento in maiolica, di scuola Trapanese, le cui immagini riproducono quelle della volta. Il pavimento purtroppo è molto rovinato, ma nelle sue parti esplorabili mostra tutta la sua bellezza. La chiesa come il monastero ha subito nel corso dei secoli alcune trasformazioni. Nel XVII sec. fu trasformata in stile barocco, secondo i gusti dell'epoca ed fu arricchita da diverse opere d'arte tra il 1794 e il 1811. La facciata attuale settecentesca è di qualche interesse. Il portale, tra due piccole colonne di marmo, è sormontato da un alto rilievo di stucco rappresentante Santa Caterina, vergine e martire, appoggiata ad una conchiglia. In alto un grande stemma del vescovo Orazio La Torre ed una colonna sormontata da una corona che è lo stemma della famigia Romano (Vincenzo Romano avendo una figlia unica che divenne suora benedettina presso il convento di Santa Caterina, donò tutti i suoi beni al monastero, risultando il massimo benefattore). La piccola comunità di suore che dal 1930 gestisce la chiesa conserva gelosamente il cartone originale, recentemente restaurato, che servì alle maestranze per mostrare alla Abbadessa pro tempore il disegno del pavimento che si doveva realizzare. E' presente nella chiesa un piccolo organo, attualmente in totale abbandono e in totale rovina. Gli altari ricchi di pregevoli e rari marmi policromi, sono di stile neoclassico. Pregevoli tele abbelliscono l'edificio sacro: entrando a destra, sul primo altare, un'opera del palermitano Giuseppe Testa, che raffigura San Vito, accompagnato da San Modesto e Santa Crescenza, nell'atto di partire dalla Sicilia su di una barca guidata dall'angelo per fuggire alle persecuzioni. Nel secondo altare un Crocifisso ligneo, di buona fattura, con un'iscrizione in tre lingue (ebraica, greca e latina). Nel primo altare a sinistra di chi entra un quadro dell'Annunziata, di autore ignoto. Nel secondo altare una statua di Santa Caterina, scolpita nel 1524 da Antonio Cagini e a spese di suor Antonina Giunta, come si rileva dalla iscrizione presente sui lati. In fondo nell'altare maggiore un grande quadro intitolato La Gloria di San Benedetto e di Santa Scolastica la tela datata 1797 e firmata da Giuseppe Testa. Ai lati della tela vi sono quattro pale che raffigurano Elia, Mosè che fa scaturire l'acqua dal deserto, l'atra rappresenta gli esploratori inviati da Mosè che ritornano dalla terra promessa,e l'ultima forse un profeta minore, Malachia. Tutte e quattro le tele non sono ne datate ne firmate, mai più ritengono che possano essere dello stesso autore. Nella sagrestia un'opera pregevole (fiamminga?) in cui è rappresentata la cena di Emmaus nell'atto in cui Cristo spezza e benedice il pane. Conservato dalle suore il Telone della Resurrezione che, serviva a coprire esattamente tutta la l'Abside, dalla volta la pavimento e da una parete all'altra, sino al Sabato Santo, quando il celebrante intonava il Gloria in eccelsis Deo e il telone, sciolto dai lacci, si lasciava cadere e sull'altere, in mezzo ai ceri e ai fiori appariva un Cristo risorto con una bandiera in mano. Il telo che misura 15 metri in altezza per 7 in larghezza è un unico telo in buono stato di conservazione ed è l'unico esemplare rimasto. Sul fondo azzurro, inquadrata in una grande cornice è dipinta la commovente scena della Deposizione. In basso sono raffigurati San Benedetto abate, fondatore dell'ordine, e Santa Caterina, titolare della chiesa. Il telone è datato 1790 firmato da don Vito Capolino, pittore, ed accanto si legge il nome dell'abbadessa donna Angela Caterina Gargano.

1928 - Santa Veneranda
Si ignora l'anno di fondazione della antica chiesa che si pensa risalga ai tempi del conte Ruggero. La prima pietra della nuova chiesa, quella attuale, fu collocata nel 1680 e venne consacrata nel 1716 da mons. Bartolomeo Castelli. Il monastero era retto da donna Giuseppa Antonia Burgio e la badessa era suor Emanuele.


Chiesa di Sant' Ignazio di Loyola
L'ex chiesa del Collegio dei Gesuiti a pianta ellittica, esclusa la profondità delle cappelle, con asse longitudinale parallelo alla facciata, pianta ellittica con un peristilio a colonnine tuscaniche binate. La forma ripete letteralmente quella del colonnato berniniano di San Pietro. Alla facciata furono, in epoca successiva aggiunti due campanili, ora crollati. Fu iniziata nel 1701 e consacrata nel 1714, dopo che era stato completato l'edificio del Collegio (tra il 1672 e il 1696, autore il gesuita Giuseppe Napoli e del confratello Angelo Italia)

In tempi recenti



Quando c'erano i campanili
Santuario Maria S.S. delle Giummare 
Com'era nei primi del novecento. Dal popolo ribattezzata Madonna dell'Alto