01 aprile 2015

Vito Bruno è stato uno dei tanti giovani che hanno preso parte alla famosa battaglia di El Alamein. E' stato per anni la memoria storica di quei giorni terribili, il depositario della verità sulla disfatta nel deserto egiziano. Si è spento il 06 settembre, all'età di 88 anni, a causa di una rottura di un aneurisma dell'aorta addominale.

1923 - 2011

"Dopo anni ci sono ritornato, ho camminato ancora su quella terra, per confondere i ricordi e le lacrime con la sabbia infuocata ad onorare quella parte di me che è rimasta con quei soldati"

L'inferno di El Alamein: in occasione del 65° anniversario, egli ricordava (di Giovanni Venezia)

1942. Era trascorsa la seconda metà di giugno, il fuoco dei cannoni illuminava il nord Africa. Il Duce aveva creduto di poter, da solo, realizzare un impero attorno al Mediterraneo confortato dal pieno controllo della Libia che assicurava, in verità, agli italiani, un vantaggio strategico rispetto agli inglesi. Almeno all’inizio. I primi successi verso l’Egitto furono assai modesti – ricordiamo che le nostre truppe difettavano di rifornimenti ed equipaggiamento –mentre quelle britanniche, “rifocillate” e corretta la strategia, tra la fine del 1940 e l’inizio del 1941 tolgono agli italiani “tutto il conquistato”. Hitler offre a Mussolini un aiuto che viene, ovviamente, accettato vista la situazione precaria e difficile. L’asse italo-tedesco il 21 giugno del ’42 conquista Tobruk nella Cirenaica. Poteva sembrare l’inizio della definitiva vittoria. E’ ad El Alamein, però, che si decidono definitivamente le sorti dell’asse italo-tedesco Il sangue non smette di arrossare la sabbia perché la guerra continua e miete vittime. E’ il 23 ottobre. L’inizio promette bene. Dopo alterne vicende dai fronti opposti, l'avanzata italo-tedesca riprende il 28 nei corridoi, sotto il fuoco rapido e micidiale dei cannoni anticarro tedeschi. I carri armati inglesi posti fuori combattimento si contano già a decine. E' il momento culminante. Il 28 sera i carri inglesi distrutti sono circa trecento. La 1^ divisione corazzata inglese, al di là del corridoio, rischia a un certo punto di venire attaccata e respinta dalla 21ma divisione Panzer tedesca. Allora Montgomery spinge verso nord la 7ma divisione corazzata e ordina alla 9^ divisione australiana di colpire anch'essa a nord. La situazione non si presenta certo brillante. Il comandante dell'Ottava armata pensava di sfondare in un arco di tempo di una decina di ore e invece i suoi calcoli si stanno rivelando sbagliati. Il 31 ottobre Montgomery dà l'avvio a quella che definisce "l'Operazione Supercharge", ossia il colpo d'ariete. Nel frattempo Rommel studia la possibilità di ripiegare su Fuka, a ventiquattro chilometri dalle prime linee: ma capisce che la sua armata così duramente provata e quasi a secco di carburante corre il rischio di essere completamente disfatta.La sera del 2 novembre i carri armati del feldmaresciallo sono soltanto trenta. Bisognerebbe ripiegare subito, ma il 3 novembre gli arriva un perentorio ordine di Hitler, con il quale si impone all'Afrika Korps di farsi uccidere sul posto piuttosto di indietreggiare di un metro. Così Rommel manda a tutti i reparti l'ordine di resistere a ogni costo, e rifiuta di accettare le implorazioni dei suoi generali, impegnati a dimostrargli l'assurdità di una condotta del genere. Il 4 novembre Montgomery è in piena avanzata e ha aggirato ormai lo sbarramento anticarro italo-tedesco. Il generale tedesco von Thoma, in prima linea, si consegna agli inglesi: non si è più sentito di condividere il massacro imposto da Hitler ai suoi uomini. Alle 15.30 giunge a Rommel un messaggio: la divisione italiana "Ariete" non esiste più, si è immolata per tenere le posizioni. Gli inglesi hanno aperto una breccia ampia venti chilometri. Alle 8 di sera, quando apprende che la brigata corazzata britannica è già arrivata alla litoranea, Rommel: la ritirata. Nonostante la sconfitta subita Montgomery non riuscirà ad accerchiare le truppe italo tedesche e a distruggere definitivamente l'Afrika Korps. Comincia qui l'odissea dei settantamila superstiti della battaglia di El Alamein: tremilaquattrocento chilometri nel deserto, invano inseguiti dal nemico fino alla Tunisia. Qui si ebbero gli “ultimi scampoli dei sogni imperiali di Mussolini”. Quando a Rommel viene annunciato lo sbarco di un corpo di spedizione di centomila americani in Algeria e in Marocco, capisce d'essere preso tra due fuochi e di non avere, né lui né l'Afrika Korps, più alcuno scampo. Siamo alla fine. Gli aiuti sempre richiesti, Hitler li invierà in Tunisia, quando ormai era troppo tardi. L'occupazione della Tunisia influì ben poco sulle successive sorti generali del conflitto. Gli ultimi a cedere ad El Alamein furono i paracadutisti della "Folgore, abbarbicati al terreno a sud, ai margini della depressione di El Qattara. Avevano di fronte quel 13° Corpo d'armata che, secondo la versione inglese, doveva impegnarsi soltanto per dar vita a un falso scopo, mentre in realtà dovette combattere una delle più dure e logoranti battaglie locali di sfondamento dell'intero fronte. Quelli della Folgore resistettero per tredici giorni senza cedere un metro. Erano partiti dall'Italia in cinquemila, erano rimasti, tra ufficiali e truppa, in trecentoquattro. Alla resa, ebbero l'onore delle armi e il nome della loro divisione restò da allora leggendario. La BBC inglese a battaglia conclusa, l'11 novembre così commentò: " I resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane". Così ebbe fine la battaglia di El Alamein, che provocò in complesso la morte di tredicimilacinquecento inglesi, di diciassettemila italiani e di novemila tedeschi. In quell ’inferno di El Alamein si immolarono moltissimi italiani. Di reduci oggi forse ne rimangono pochissimi ma solo di uno si hanno notizie: Vito Bruno nativo di Mazara del Vallo dove ha vissuto. Allora diciannovenne, pilota carrista 4° battaglione Carri M 13/40 133° , in quei terribili momenti del 3 novembre 1942, alla guida del suo mezzo corazzato, riesce a colpire e distruggere diversi carri nemici. Il suo carro viene colpito, incurante di andare incontro a morte sicura salta fuori ma un proiettile colpisce la gamba; pur ferito riesce a salvarsi mentre i suoi compagni rimasero arsi all’interno del mezzo. Oggi Vito Bruno ha 885anni e li “porto bene” - dice - però mi sento ferito nel corpo e nello spirito”. Maresciallo di P.S. in pensione vive nel ricordo del deserto, delle centinaia di migliaia di soldati morti e rimasti lì fra le sabbie a sud di El Alamein. Nessuno vuol raggiungere quei luoghi perché infestati ancora da milioni di mine e di cui mai nessuno parla. Un silenzio doloso ne ammanta il tempo e la memoria. Non si è mai arreso Vito Bruno. E’ stato depositario della verità sulla disfatta del deserto. Una prima memoria, documentata, rivive in un suo libro pubblicato dal titolo “El Alamein, il deserto di gloria. Per la prima volta raccontata da uno dei protagonisti”. Una nuova edizione con documenti inediti probabilmente è in cantiere. Il maresciallo Vito Bruno ha ricevuto riconoscimenti ed onori in ogni parte d’Italia per le sue gesta e per l’umanità che sa empaticamente trasmettere.

La memoria. 

“Io c’ero e ci sono tornato”.
Nel 2001 - 78 anni compiuti - dopo un viaggio “disastroso” è tornato ad El Alamein per rivivere il dolore, ricordare i compagni delle mille battaglie, le paure e le angosce di quei giorni terribili. Così, allora, in lacrime, visitando il sacrario, si espresse: “Io ci sono tornato quest'anno (2001, ndr). Sono un reduce della battaglia di El Alamein.. A 58 anni da quel grande evento militare, era mio sacro dovere, sentito nel mio essere più profondo avvicinare il mio cuore e la mia mente al grande silenzio che avvolge quei soldati d'Italia, che , con disperato coraggio e tenacia onorarono il nome e la bandiera deI nostro paese sul conteso terreno di EI Alamein. Io c'ero! La, nel deserto egiziano, ove mille pezzi d'artiglieria ed oltre mille carri armati nemici, si avventarono contro le truppe italiane gettando nella lotta una straripante superiorità di uomini e mezzi in un rapporto di sei a uno, una inesauribile scorta di munizioni, uno schiacciante dominio aereo. Quella battaglia decisiva della guerra d'Africa ha trasformato EL Alamein in un "simbolo", racchiudendovi lo spirito di quegli eroi che tali sono stati e tali rimarranno nel tempo. Ero lì, sono tornato: ferito nel corpo e nello spirito. Sono un reduce, un fortunato pilota carrista ad El Alamein sono ancora presente, con lo spirito, con la preghiera, ricordando i caduti che giacciono colà. Dopo tanti anni ci sono ritornato, ho camminato ancora su quella terra, per confondere i ricordi e le lacrime con la sabbia infuocata ad onorare quella parte di me che è rimasta con quei soldati. Ho provato una così grande commozione nel visitare il torrione ottagonale che contiene al suo interno le spoglie dei caduti che mi sono ritornati nella memoria i nomi dei miei compagni carristi che ben conoscevo. Le spoglie dei soldati italiani raccolte nel sacrario sono una minima parte dei caduti nell'inferno di pietra e desolazione. Soldati che suscitarono l'ammirazione dello stesso esercito nemico e del mondo intero per i molti episodi di eroismo che contrassegnarono le ultime fasi della battaglia. Spero che questa mia testimonianza serva a far si che anche a quei morti sia rivolta ogni tanto una preghiera, un pensiero, un ricordo. Mi chiedo dove sono adesso i superstiti (pochi, credo). Sono stati soldati che, superato il comune coraggio e la fase dell'audacia, hanno dimostrato d'essere veri eroi, limpidi, valorosi. M'è parso di riconoscere il mio carro, su cui avevamo scritto "o uomo, favilla di Dio, se hai l'animo ingombro di paura seguirmi non potrai! " L'ho cercato sulla prora del carro, mi è sembrato di intravederne le tracce, non ne sono sicuro.., ma per me, quello che era li nel mausoleo sarà per sempre mio! ”Un tributo al suo valore ed al suo coraggio forse anche la sua città glielo deve.


Vito Bruno, mazarese doc, era l'unico superstite in Sicilia della famosa battaglia combattuta nel deserto egiziano. Dopo anni di ricerche e di paziente raccolta di materiale e documenti su quella gloriosa pagina di storia egli ha voluto lasciare, con la pubblicazione di questo libro, il suo testamento di soldato, una traccia indelebile di quegli esaltanti ma terribili momenti vissuti durante la seconda guerra mondiale, nel lontano 1942. Certamente, pur raggiungendo momenti di liricità, l'autore non è uno abituato a scrivere e la sua opera, pur meritoria, non ha pretese letterarie ed, infatti, mostra tutti i limiti dell'inesperienza, ma raggiunge ugualmente lo scopo che si era prefisso e cioè quello di far conoscere la "verità" su quegli avvenimenti attraverso i ricordi di chi ha sofferto, in prima persona,quelle vicissitudini e, inoltre, di permettere che non ci si dimentichi di quei giovani caduti eroicamente per la patria. Molto ricca l'iconografia, grazie alla quale si possono osservare, anche, alcune foto inedite di mazaresi caduti in quell'evento bellico.

Essendo il medico di famiglia ed amico del "maresciallo" ho avuto la fortuna di sentire dalla sua viva voce la descrizione di alcuni di quei momenti emozionanti e terribili vissuti da quei "ragazzi" in quell'infernale deserto e vi posso assicurare che l'emozione che prende l'ascoltatore non può mai essere equiparata a quella avvertita durante una semplice lettura delle pagine di un libro. E nemmeno è possibile descrivere la sensazione che si prova toccando la coscia del reduce, dove si trova, ancora, ancorata nei piani muscolari profondi, una pallottola di mitragliatrice che gli si conficcò durante un attacco nemico e che lui non ha mai voluto far estrarre e che esibisce, con gli amici, come un cimelio sacro. Doveroso è cercare di conoscere i fatti, la verità su quegli episodi di vita vissuta da molti dei nostri soldati dai quali si possono ricavare tanti insegnamenti, specialmente per i giovani di oggi per molti dei quali gli ideali sono un optional.
Non dimenticate El Alamein! è l'appello del "nostro" sopravvissuto perché quella battaglia è diventata il simbolo del più alto momento di sacrificio, per un ideale che non tutti hanno vissuto allo stesso modo. Le spoglie dei soldati italiani (solo una minima parte di essi) raccolte in un Sacrario ad Alessandria d'Egitto, in una distesa di terreno che il governo egiziano ha concesso all'Italia per un periodo di 99 anni, hanno suscitato e suscitano ancora l'ammirazione dello stesso esercito nemico e del mondo intero per gli innumerevoli episodi di eroismo della Divisione Folgore, che contrassegnarono le fasi finali della battaglia. I "ragazzi" della Folgore (in gran parte giovanissimi, il nostro Bruno aveva allora 19 anni) seppero resistere agli attacchi nemici, portati da una efficientissima artiglieria, doppia in quanto a numero di mezzi in campo, molto meglio equipaggiata, nonostante la scarsità di pezzi e munizioni, l'inferiorità numerica, la mancanza di acqua, di rifornimenti e le febbri da infezioni amebiche (che fecero più vittime della guerra). Quando gli'Inglesi, consci della loro netta superiorità, gridarono "Arrendetevi!" i giovani soldati italiani risposero all'unisono: Folgore!. Dopo 12 giorni di furibondi combattimenti, dopo aver suscitato l'ammirazione del nemico e dopo i mille episodi di valore, le munizioni finirono, solo allora un Capitano italiano (Giacalone), gridò agli inglesi non facciamo più fuoco solo perchè abbiamo esaurito le munizioni, la volontà di combattere non l'abbiamo persa e fu la resa, ma con onore.


Foto concesse dalla signora Bruno a ricordo del 18° compleanno della nipotina
Loredana Bruno, Flaminia Incecchi, Rosetta De Pasquale Bruno

Giorgio (fidanzatino), Loredana Bruno, Flaminia, Rosetta De Pasquale, Alessandro Incecchi

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